EXHIBITION

07 luglio 2017 – 22 luglio 2017

Il silenzio di Ophelia

testo di Michelangelo Giovinale

in mostra opere di

Anna Giordano, Andrea Martone, Alfredo Cordova, Pietro Maietta, Laura Niola, Agnieszha Kiersztan, Nicola Villano, Peppino Restivo, Mimmo Petrella, Gloria Pastore, Antonella Botticelli, Pasquale Coppola, Carmine Posillipo. 

luogo Palazo delle Arti – Capodrise (CE) Italy

Incipit della mostra

Si è voluto, con il silenzio di Ophelia, un appuntamento che connettesse gli artisti con la società contemporanea; da un lato un’occasione per una ricognizione artistica, dall’altro la ritrovata voglia di fruizione verso l’opera d’arte. Tutto questo, attraverso un passaggio nella letteratura teatrale del Seicento. Il mondo femminile, le inquietudini dell’anima, la lenta morte in vita di un sogno d’amore e, in filigrana, ma non troppo, il femminicidio, sempre più narrato nei fatti di cronaca contemporanea

In testata Follia di Antonella Botticelli

tecnica mista, pigmenti, acrilico, bitume, gesso. cm 150×200

Introduzione alla mostra

«C’è un salice che cresce storto sul ruscello e specchia le sue foglie canute nella vitrea corrente; laggiù lei [Ophelia] intrecciava ghirlande fantastiche di ranuncoli, di ortiche, di margherite, e lunghi fiori color porpora cui i pastori sboccati danno un nome più indecente, ma che le nostre illibate fanciulle chiamano dita di morto. Lì, sui rami pendenti mentre s’arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello. Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell’elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa».

Questa del “silenzio di Ophelia” è una mostra a tema, che tiene assieme artisti differenti fra loro per varietà di linguaggi espressivi ed esperienze artistiche diverse. Un incontro con l’arte, che si connota per il suo marcato senso narrativo, che al personaggio di Ophelia, eroina, nell’opera teatrale di Amleto, di William Shakespeare, si ispira. 

Il raccontare per immagini è una funzione della storia dell’arte. Nei secoli, ha generato comparazioni, evoluto società, spinto in avanti la storia. Il racconto è un momento di confronto, che si consuma nell’intimo umano, a volte in solitudine, attingendo anche al bagaglio delle proprie immagini personali. Una dialettica dell’anima tra il vedere e il sentire. 

Si è voluto, con il silenzio di Ophelia, un appuntamento che connettesse gli artisti con la società contemporanea; da un lato un’occasione per una ricognizione artistica, dall’altro la ritrovata voglia di fruizione verso l’opera d’arte. Tutto questo, attraverso un passaggio nella letteratura teatrale del Seicento. 

Il mondo femminile, le inquietudini dell’anima, la lenta morte in vita di un sogno d’amore e, in filigrana, ma non troppo, il femminicidio, sempre più narrato nei fatti di cronaca contemporanea. Ophelia, figlia di Polonio fidanzata di Amleto, si consuma in un urlo senza voce. Rinchiusa nell’impotenza. Scivola nel baratro della follia. Ophelia annega. Soggiogata da uomini e intrighi di corte. Muore lì, nello stesso luogo in cui aveva amato. Dal sogno di una vita alla morte, già in vita. 

Dentro questa storia tredici artisti hanno voluto raccontarsi. Gli artisti, restituiscono ad Ophelia la parola, la rianimano dalla “fangosa morte” riportandola in luce con le loro tredici opere. 

La varietà dei linguaggi espressivi costituisce la forza di questa mostra, la sua ricchezza. L’intento era quello di verificare, anche attraverso differenti generi dell’arte, come sia possibile un recupero dell’artista all’interno della società. Ritrovare una sintonia con le loro plurime progettualità, in termini di temi, di idee, di contaminazione comunicativa con il mondo circostante. È la funzione sociale dell’arte a cui non si può, non si deve, rinunciare. 

Aprono il percorso espositivo le presenze artistiche di Anna Giordano, Nicola Villano e Alfredo Cordova con opere figurative, emozionali. Parlano più direttamente all’animo umano, attraversando obliquamente il tema dell’amore. Sono tele di grandi dimensioni. Si è di fatto immersi nella pittura. I soggetti, sono raffigurati tutti in contesti surreali. Dalle manifestazioni plurime ed esplicite del dolore, in tre momenti diversi, nell’opera di Anna Giordano, al mare calmo e inquieto di Alfredo Cordova, in “Mediterraneo Ophelia”. Un melo fiorito la cui forma ricorda quella di un salice piangente. Una mutazione della natura, forse anche dei sentimenti umani che lascia presagire l’imponderabile, che qualcosa forse accadrà dentro questo mare giallo, o forse è già accaduto ma ancora impercettibile ad un primo superficiale sguardo, indecifrabile come nel “bacio mancato” di Nicola Villano che reca nel fondo dell’opera l’epigrafe “clonazione addio”. Nessuno dei quattro soggetti, due coppie di donna e due di uomini, riescono di fatto a baciarsi. L’impossibilita di amarsi è palese. 

A seguire le istallazioni: sono dichiaratamente provocazioni, volute in questa mostra per stimolare reazioni decise, anche oppositive. Sono presenti opere di Gloria Pastore, Laura Niola, Pietro Maietta, Andrea Martone, Mimmo Petrella che provano ad andare oltre, addentrandosi nei processi liquidi della psiche. Le maschere senza identità, di Gloria Pastore, ordinate per file verticali e orizzontali a formare un grande rettangolo, dal titolo “sguardi a corte” richiamano il tema dei ruoli che travalicano l’essere. Chi siamo noi e se sia ancora possibile una relazione umana senza l’ausilio di maschere, in un mondo che ci vuole solo recettori di messaggi, multipli e globalizzati, prodotti ad arte, come testimoniano le carte di giornale, minuziosamente piegate ed inserite, nei due grandi riquadri bianchi di Pietro Maietta. 

Il bianco è la nota cromatica distintiva che caratterizza gran parte delle installazioni. È il caso anche di Andrea Martone. I suoi alberi, imprigionano la fuga di Ophelia. Gli elementi sono fluttuanti, in continua mutazione nello spazio. Nulla più dà reale certezza, nulla più è punto di riferimento per la natura, così come per l’uomo è impossibile orientarsi, tanto vale addentrarsi, adeguarsi, e lasciarsi morire. 

Questo continuo interrogarsi, sentirsi in balia degli sguardi altrui è espresso nell’opera di Laura Niola, “teng l’uocchie nguoll”. Un corpo umano interamente rivestivo di occhi altrui che fatica a sopportare il giudizio, tanto da portate le mani al volto, provando a ripararsi. Nello specchio sottostante si riflette un occhio nero. È l’occhio interiore di ognuno di noi, la coscienza. Un occhio sulla bocca dello stomaco. Laura Niola sembra suggerire di guardarsi dentro, prima di volgere lo sguardo altrove. 

Oltre, vorrebbe provare a guardare-volare anche Mimmo Petrella, nella sua grande installazione. I sogni dell’uomo sono interrotti dalla volontà di pochi che governano la società. Ed ecco che, le ali di Petrella restano immobili, sospese nell’aria, spezzate, prive di funzione. La sua installazione “letto e comodino” provenienti dalla casa del vento di Acerra, ci restituiscono una dimensione tangibile e plastica dell’impossibilità dell’uomo di tornare a sognare, a viaggiare, a volare lungo e dentro i proprio sogni. All’uomo stanco e sfinito non resta che la resa. Sdraiarsi su quel letto, con lo sguardo rivolto verso un cielo che non consente più di sognare, di volare. 

Le astrazioni pittoriche, dense di materia stratificata, di Antonella Botticelli, Peppino Restivo, Pasquale Coppola, con i loro impasti, la loro forza espressiva di segni e gesti, preannunciano il passaggio dalla follia alla morte. Questa materia molto spesso coincide con la stratificazione del male di vivere. “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”. Siamo la somma dei nostri errori umani, al punto che Antonella Botticelli lascia annegare il volto delicato di Ophelia, lievemente tracciato in un segno di estrema delicatezza, nelle crepe profonde della sua pittura. 

L’ultimo atto è oramai segnato. Le scarpe rosse insanguinate, di Peppino Restivo indicano una direzione di non ritorno. Incedono appaiate verso l’esterno dell’opera accompagnando l’occhio dell’osservatore a guardare oltre la tela. Il dato è tratto. Ci prova a ricomporre ri-semanticamente Pasquale Coppola. Il suo è un tentativo estremo. Coppola prova a invertire la direzione. Strappa, lacera, riposiziona la sua pittura, passata e presente. Un processo a due tempi, prima di “decostruzione poi di ricomposizione” come a voler trovare qualcosa, che gli consenta ancora di sopravvivere alla disfatta dei tempi moderni. Questi collage di carta che includono grandi inserti di colore ed altro, raccolgono la storia sociale che ha segnato la sua vita, gli autori a lui più cari, i suoi amici, lo spazio della sua esistenza. Un processo di ri-semantizzazione di temi che la storia non ha risolto e che lui prova a rileggere, con nuovi significati, in un ultimo ed estremo tentativo. 

Chiudono la mostra due opere di Agnieszka Kiersztan e Carmine Posillipo. Richiamano l’osservatore ad una riflessione fuori dai luoghi comuni, sul concetto di arte e di bello, di società contemporanea, veloce, distratta che ha l’obbligo di rallentare, fermarsi e tornare a riflettere. Chi siamo, dove andiamo. Il “carro armato” di Agnieszka Kiersztan gioca sul filo della seduzione, cattura l’attenzione. Rassicurano i brillantini di Swarovski che lo disegnano su un campo di margherite. Il gioco della seduzione dura poco. Superata la prima impressione visiva, si è di fronte al dramma della guerra, che l’uomo moderno ha reso accattivante elegante, alla moda. Anche Carmine Possilipo con la sua opera “gli specchi di Ophelia” riflette, dentro quinte di scena, l’angoscia di vivere, attraverso il pianto isterico di volti infantili, già segnati fin dalla nascita dal peso della vita. Queste figure, mutevoli, che vengono risolte stilisticamente sul genere delle stampe tipografiche degli anni 60’ 70’, segnano il confine labile dell’esistenza. 

Tutti gli artisti, a loro modo, hanno raccolto le suggestioni che nel profilo di Ophelia sono annidate. Taluni confrontandosi con il passato, il proprio vissuto, altri provando a interpretare il prossimo futuro svincolandosi dalle ideologie che ancora sono presenti nella produzione di taluni artisti. Ne esce fuori una visione di insieme, che ci aiuta a comprendere meglio, lo stato dell’arte oggi. 

Il silenzio di Ophelia, ospita “Art Work”, una piccola sezione a margine della mostra con opere di giovani artisti in erba provenienti dal vivaio del Liceo Artistico “Onofrio Buccini” di Marcianise e dal Liceo Artistico “Righi – Nervi” di Santa Maria Capua Vetere. Gli allievi dialogano con i maestri. Un gesto simbolico per il futuro dell’arte. 

In uscita dalla mostra, un album fotografico di Fabiana Maietta che ha saputo, con i suoi scatti, raccontare l’arrivo degli artisti al Palazzo delle Arti. Un dietro le quinte che si fa spazio sul palcoscenico della mostra. 

I tredici artisti del “silenzio di Ophelia” si sono raccontati in “pianosequenza” un cortometraggio realizzato da Alessandro Musone. Una traccia visiva che racconta questi uomini in carne, anima e sangue. Si voleva recuperare una dimensione umana che spesso il sistema dell’arte confina ai margini del dibattito artistico, concentrandosi sull’opera e meno sul vissuto. Dietro ogni opera c’è il dialogo interiore che ogni uomo – artista affronta nella genesi e nei processi di realizzazione. Ritratti dell’anima è il sottotitolo di “pianosequenza”. Non a caso. 

L’arte è una varietà di generi e di tempi, di cui l’uomo deve tornare a servirsi, nutrendosi. L’arte è verità. 

Una verità che Claudio Lombardi, compagno di viaggio, ritrovato dopo anni di buio, ha continuato a cercare nel suo lavoro editoriale, scremando il superfluo, spianando il sentiero verso Ophelia, affinché l’arte fosse, prima di ogni altra cosa, un viaggio nell’anima. 

Gli artisti presenti in mostra provengono da orizzonti differenti, di storia, di vita, di esperienze, che nel Palazzo delle Arti di Capodrise, si incontrano, si interrogano, si raccontano e che noi dovremmo, adesso, provare ad ascoltare.  Ripartendo dal silenzio.

Backstage riprese cortometraggio